Il marketing è morto?

Assumere il turismo come criterio ordinatore del territorio, come settore organizzato della società, che partecipa alle scelte di pianificazione. Assumere la qualità territoriale diffusa come attrattore competitivo. Sono, queste, inutili affermazioni?
Di fatto già ora molti concordano sul fatto che la promozione e la commercializzazione avranno sempre meno appeal (ci si crede meno) e meno forza (ci sono sempre più concorrenti) sui consumatori. E quindi le caratteristiche strutturali ed infrastrutturali dell’insieme territoriale, le persone, il paesaggio, riacquistano peso.
Leggi le motivazioni qui nell’articolo e, se vuoi, dì la tua. Riuscire a parlare di territorio quando si parla di turismo è, ogni volta, una sorta di rivoluzione. In questa ultima Conferenza Nazionale se ne è parlato molto poco, altri e contingenti sono gli interessi.
Però nei due interventi più rilevanti, Brambilla Errani, se ne è parlato, da punti di vista diversi, infrastrutture per il Ministro, legge sui suoli e politica fondiaria per il Presidente delle Regioni.
Di fatto, se si riuscisse a proporre ed affermare la chiave di lettura turistica del territorio, se il turismo – magari economicamente minoritario, ma simbolicamente preminente- venisse assunto come criterio ordinatore, si potrebbero superare molte contraddizioni pratiche che rischiano però di trasformarsi in ideologiche:

  • tra conservazione e valorizzazione delle risorse naturali, culturali, ecc,
  • tra patrimonio intangibile e immodificabile e fruizione da parte di residenti ed ospiti,
  • tra paesaggio storicizzato ed edificazione,
  • tra “vuoto” più o meno naturale e “pieno” più o meno artificiale.

A fronte dell’indebolimento di alcuni degli attrattori tradizionali “semplici” (come il mare della balneazione, le terme delle cure, la montagna della neve, ecc.), sempre più è il territorio che si pone come contesto di pre-condizione all’accoglienza, e come retrogusto di soddisfazione dell’esperienza.
Se la qualità territoriale diffusa diventa un forte attrattore competitivo e riempie di contenuto gli stessi prodotti turistici, la “domanda” turistica, intesa stavolta nel senso delle aspettative del viaggiatore, è la spinta ulteriore alle scelte di riqualificazione che la società intraprende.

La questione del turismo come “segmento importante dell’economia” ed insieme anche come problema e pressione, va man mano risolvendosi verso una lettura decisamente positiva: il turismo è sempre più il “reagente di misurazione” della qualità territoriale, misura il grado della comune soddisfazione tra residenti ed ospiti.
Il tema si risolve comunque a partire dall’approccio alla pianificazione che, dalla scala nazionale a quella regionale e locale, si pone la questione della capacità di attrazione come conseguenza dell’offerta di qualità.
L’approccio urbanistico dovrebbe allora affiancarsi, sempre di più, alla lettura delle problematiche dei “turismi”, non più reclusi nella tematica settoriale, ma piuttosto chiamati a partecipare nella ricerca delle soluzioni di riqualificazione e di specializzazione.

La programmazione del territorio, anche se non è di competenza del turismo, è sempre stata ed ancor più diventerà in futuro una delle azioni più incisive per i suoi risvolti sul turismo.
Da questo punto di vista è necessario considerare l’importanza dei caratteri del territorio che si propone ai turisti, per rapporto al territorio che li genera e li origina.
Anche senza tornare al concetto ormai noto dell’inversione, o ricorrere a luoghi comuni ormai storici come il “logorio della vita moderna” è comunque necessario riflettere sui caratteri differenziali del punto di partenza rispetto a quello di arrivo: se il mondo quotidiano tende sempre di più a riempirsi e ad omologarsi, e se le trasformazioni quotidiane di questo mondo tendono sempre più a trasformare gli spazi in funzioni, allora è evidente che un territorio che si connota per la dedica ospitale e che ambisce a confermare tale carattere deve considerare con particolare attenzione proprio questo elemento.

Non c’è dubbio che le tendenze spontanee del mercato possono andare in una direzione anche fortemente determinata, mirando all’incremento di valore puntuale degli spazi nel semplice passaggio da una mano all’altra, da una funzione all’altra, alla ricerca di un “pregio” che è in primo luogo prezzo (di ri-vendita), e secondariamente valore, di incremento della qualità in relazione al prezzo.
Ma turisticamente parlando la saturazione del territorio ha un unico possibile esito positivo: la Città, la quintessenza della densità nel luogo e nel tempo, la rottura dell’alternanza sonno-veglia, l’artificio posto ad emblema dell’affermazione dell’uomo sulla natura, Las Vegas (o Atlantic City) come emblemi di civiltà.

A questo emblema, più o meno esplicitamente, pezzi del territorio nazionale hanno mirato, ma non sembra questa né la deriva attuale, né paradossalmente il rischio peggiore.
Sono piuttosto le funzioni logistiche senza pregio né prezzo né valore a rischiare di prevalere inconsciamente, per effetto di una sacralità della produzione manifatturiera che ormai lascia il posto al terziario, della sacralità di un terziario che ormai lascia il posto al maxi-centro multifunzionale, che ormai lascia il posto ad un parcheggio asfaltato ed illuminato, magari senza più la funzione originaria, superata dall’evoluzione del mercato, soffocata dalla diffusione di proposte tutte uguali o solo un po’ più innovative, che rifiutano gli spazi già impegnati e ne pretendono sempre di nuovi.

Ma per la fruizione di qualità, per l’affermazione della qualità sia per i residenti fissi che per quelli temporanei, il valore dei luoghi che città non sono è dato dal senso del vuoto di pregio come quinta del pieno, possibilmente di pregio anch’esso. Gli spazi già impegnati sono tanti, quelli già dismessi anche. Ma perché la natura spontaneamente se ne riappropri, i tempi sono troppo lunghi per il presente, e il purgatorio estetico del degrado progressivo, per quanto abbia alcuni sofisticati estimatori, appare troppo lungo per le esigenze del presente e del futuro prossimo.
In attesa di una possibile rinaturalizzazione, il vuoto residuo delle aree semi-urbanizzate è un potenziale connotato urbano di pregio su cui investire, mentre l’inurbanizzato (campagna) è un valore di complemento per il tempo di vita e di vacanza. Anche senza arrivare ad immaginare tanti prati e tanti giardini quanti sono oggi gli spazi residuati, dismessi o inutilizzati, è evidente che questo tema deve giocoforza pervadere il disegno del territorio.

E si tratta di un tema economico essenziale, non di un presupposto ideologico. Il vuoto gestito non è un fiore all’occhiello, è un valore aggiunto per il pieno valorizzato, un plus competitivo sul mercato,
Sono ormai conclusi gli anni in cui la pianificazione ha trattato le aree non urbanizzate come “vuoti” in cui si allenta la ricerca ed a tratti anche la responsabilità. La grande questione del paesaggio, come rappresentazione della nostra identità, invece non è affatto conclusa, ci sono Regioni italiane, dove il dibattito assume ancora i connotati del confronto conflittuale. Lo sforzo di ricerca, di condivisione e di pianificazione è dunque ancora cruciale.

Il turismo, inteso come settore organizzato della società, è chiamato a partecipare alle scelte di pianificazione.

La promozione e la commercializzazione avranno sempre meno appeal (ci si crede meno) e meno forza (ci sono sempre più concorrenti) sui consumatori. Le caratteristiche strutturali ed infrastrutturali dell’insieme territoriale, le persone, il paesaggio, riacquistano quindi peso. Per contro nelle aree del territorio aperto, che rappresentano ancora le eccellenze sotto il profilo paesaggistico, il turismo è spesso il “grimaldello” della rendita, mentre deve necessariamente prevalere un’idea di reddito, facendo sì che il progetto di lungo respiro e l’integrazione intersettoriale producano un atteggiamento di tutela attiva del territorio e del paesaggio.

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